domenica 4 dicembre 2011

Primo Paragrafo.

Era una notte in cui di stelle se ne vedevano solo di arancioni.
La loro soffusa solitudine guidava maestra il passo dei viandanti lungo i battuti e lastricati sentieri del centro. Gli uomini e le donne che inconsciamente si andavano inseguento in quel gradevole carosello invernale parevano un unico, dissonante e aggraziato mastodonte.
Il loro mutar continuamente direzione, la loro capacità di variare istantaneamente passo onde non cozzare gli uni con gli altri faceva pensare ad un torrente. Scogliere di vari piani si ergevano nel mezzo di tali flussi. Alti, severi, quasi eterni nel loro effimero ed inabitato splendore. Un vento di Zefiro che cortese accarezzava le piane cime delle Ardenne; questa vivida e dolcissima immagine balenava dietro gli occhi di un solitario e silente spettatore. Quella moltitudine affaccendata passava, continuava senza posa a passare da un luogo all'altro senza effettivamente trasformarlo; quivi si fermava, lì nel fondo della via deviava per non infrangersi nelle proprie scelte urbanistiche, eppure... Pareva pettinare quell'elegante quartiere fiorentino col suo incedere, pareva trasformarlo in ridente teatro col suo incessante chiacchiericcio, donava vita a quegli alti muri, a quelle torte arcate, a quelle giuste colonne. Infondeva un anima umana a quei frutti dello sposalizio tra gli esseri umani ed i monti; rendeva colmo di scopo il nostro modestissimo creato.
Questi ed altri pensieri andavano seguitandosi nella mente del nostro amico.
Andava egli passeggiando lungo quella azzurrognola lingua che tracciava, sulla perenne tela della valle, il limite naturale della città tanto amata. Eppure essa da tempo lo aveva valicato, quel limite, e aveva saputo germogliare sulle limacciose sponde d' oltrarno.  "Anche il cuore ha in sè un naturale confine, ciò non invalida la sua funzione, semmai la affina" -questo gli suggerì la visione di quel fiume. I profumi ed i meno gradevoli odori del fervore vitale lo accarezzavano e schiaffeggiavano senza posa, una bufera che non resta. La frizzante aria di Novembre gli pizzicava il naso mentre accendeva, dolcemente, una sigaretta. Fumava il nostro amico, dio mi sia testimone che fumava. Fumava per una sorta di intricato ed autoimposto contrappasso; continuava a ripetere che solo un onesto e sincero amante della pura e ristoratrice aria marzolina avrebbe tratto quanto lui dal transitorio piacere di una sigaretta. "I Baci più amari che possiate ricevere" - Così le chiamava, le sigarette. E passo dopo passo lasciava una distintiva scia dal sentore vagamente rassegnato, rassegnato come quei gradevoli e fragili giochi che si trasformano, col tempo in saldi vizi. Quasi a volerci ricordare la gaiezza del tempo in cui li approcciammo; tempo quasi sempre tenerissimo e, come tutte le cose giovani, senza domani. Ecco: il venir meno, almeno nel nostro sentire, del domani ci lega ai vizi di gioventù. Ed egualmente al ricordo degli amori che in quei medesimi periodi conoscemmo; considerando che gli amori, nel loro complesso, sono solamente i più raffinati tra i vizi, le più gentili tra le flagellazioni.
Camminava e pensava, ricalcava un mondo di riflessioni sulla falsa riga di quello reale; la matita? Le sue elucibrazioni. Poneva un sottile foglio di carta trasparente tra sè ed il mondo iniziando un fine arrovellio che lo conduceva ad una illustrazione, più complessa ma meno fedele della realtà. Questi erano i suoi pomeriggi solitari, queste le sue indolenti passeggiate. In qualche maniera l'idea del viaggio, del percorso conoscitivo, della ricerca ideale lo facevano sentire vivo come non mai. Decisamente più vivo che in compagnia, trovava che pensare insieme ad altri fosse sfiancante, se al pensiero doveva poi far seguito la parola... Dio! Che fatica immensa... E se dalla parola doveva poi giungere la comprensione  in qualcuno che non fosse lui... Tempo sprecato.
Si sentiva un incompreso, il nostro amico. Percepiva fin dalla nascita un muro, una invalicabile barriera tra sè e gli altri. Il suo superfluo era il loro fondamentale, ciò che per lui era significativo per loro era puramente accessorio, nella migliore delle ipotesi un gradevole passatempo. "Come fosse il pensare un passatempo!" - andava ripetendo ai più cari tra i suoi amici.

Con uno di questi aveva il serale appuntamento cui si recava, un gioviale quanto giovane avvocato che gli era sempre di gran compagnia, e che mai si ricordava avesse rifiutato un'inebriante calice di dolce nettare. L'ora dell'appuntamento si andava accivinando, le campane del Duomo ricordavano ad uno dei due che era in ritardo, all'altro, come al solito, che era in anticipo.

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