lunedì 12 dicembre 2011

Secondo Paragrafo.

Era una di quelle ore in cui non sei mai certo se si debba dire "buongiorno" o "buonasera". Sordi rintocchi continuavano a suonare Firenze come un'unica, bellissima, cassa di risonanza. Fermi, pieni, solidi... Avresti giurato che fossero e sarebbero sempre stati lì, a ricordarti qualcosa che avevi dimenticato, a svegliarti da un fantasticare troppo protratto, a scandire come un gigantesco metronomo la giostra della tua esistenza. Ovviamente era Ludovico ad essere in anticipo. Come poteva essere altrimenti? Gli sembrava di aver vissuto la  sua intera esistenza in anticipo, a Ludovico. Come fosse dal principio stato rincorso dal segugio di un padrone inclemente chiamato Tempo. Sempre a  mordergli i calcagni, a ricordargli le sue "potenzialità inespresse" espressione che si era sentito ripetere così tante volte che aveva pensato di tramutarla in epitaffio:

"Qui giace Ludovico dei Rimembri, mai rinunciò ad una risata per lenire le sue pene, amante deciso eppur delicato dei piaceri della vita, principe delle potenzialità inespresse"

Questo avrebbe voluto ci fosse scritto, questo il suo monito ed insieme il suo regalo ai passanti tristi di una pigra domenica, in un altrettanto pigro cimitero di campagna. La pace non era qualcosa da raggiungersi in questa vita, pensava. Siamo eccessivamente schiavizzati dai nostri simili, dai loro successi, dalle loro miserie per poter veramente placare la tempesta che dentro ci affoga, ci lascia spazio per una boccata ristoratrice di ossigeno per poi rispingerci nell'abbisso, ancora ed ancora, perversa.
Perversa era la vita ed egualmente perversi i suoi figli, maschi cresciuti nell'adorazione della donna, solitari frammenti di un disegno che non siamo tenuti a conoscere. L'oppio ricominciava a farsi sentire. Si sentì improvvisamente come schiacciato. Ogni respiro era una pugnalata. Resistere? A che scopo?. Si lasciò sprofondare in se stesso... Seduto ad attendere la sua compagnia sui gradini del Duomo.
E cominciò a scivolare... calmo nella sua accettazione dell'incontrollabile preponderanza del suo inconscio. I passi dei suoi simili acquistavano immediatamente ritmo, il ritmo figurava teatri mai visitati nellla sua testa, danzatrici di orienti sconosciuti lo deliziavano con carezze degne di Semiramide dietro le palpebre socchiuse. Un'altra sigaretta. Ogni boccata pareva una mano che pugnalandolo allo stomaco cercasse di sollevargli il torace dall'interno. Ne fumava, ne gioiva, ne soffriva. Poi d'un tratto, colori. Solo colori nel brusio della folla, tamburi dalle campane del Duomo. Visioni fantastiche e stupefacenti, eppure, così umane. Vedeva realtà possibili, stereotipate ma non vere; probabili forse, ma non adesso. Era questo il punto.
Si riprese di colplo. Se c'è una cosa peggiore dell'essere assaliti senza avviso da un qualcosa che ha giaciuto languido dentro di te per trasportarti lontano, è proprio l'essere riportati senza avviso alla realtà. Istantaneamente i passi tornarono ad essere solo passi; le campane, solo campane.
Una mano gli strinse improvvisamente la spalla.
"Finalmente!"-disse scattando in piedi.
"Amico mio, venti minuti di ritardo sono già una conquista! Dici sempre che con me non riesci a pensare come vorresti? Benissimo, ti ho lasciato il tempo per ragionare come non potrai per le prossime ore."-aggiunse Ezio.
"Bhè con lei ragionerei anche, avvocato, se non riservasse tutta la sua sobrietà per le sue arringhe!".

Scoppiarono entrambi a ridere, come di consueto, e per medesima consuetudine si diressero ad un'osteria dopo essersi sprofondati in eccessivi e goffi inchini insistendo ognuno con l'altro affinchè facesse strada. Ezio regalava a Ludovico quella leggerezza nel vivere che pareva così ardua da raggiungere per chiunque non l'avesse sempre avuta. Il suo riuscire a portare a compimento tutte le sue intenzioni senza affanno, il suo amore semplice ed infantile per la vita, per le donne e per il vino lo ristoravano come il respiro di un'amante quando, colti da un incubo, d'improvviso, ci si desta.
Camminarono un poco, il rimbombo delle campane aveva lasciato il posto al più profondo e meno rassicurante concerto delle nuvole che li sovrastavano.  La locanda era piena di fumo, come al solito, non eccessivamente pulita, come al solito, poco frequentata, come al solito, e rumorosa come non mai. Il proprietario, un pingue e solitamente gioviale nanerottolo chiamato Vincenzo era intento a scacciare armato di bottiglia un paio di francesci dall'aria decisamente poco sobria. Quando i due gentiluomini marsigliesi furono accompagnati alla porta si voltò ai due compari, che sghignazzavano in un angolo.
"Ma buonasera! Alfio! I nostri migliori clienti tornano a farci visita! Stappa il vino migliore! Taglia il formaggio di Siena e ravviva il camino!"
"Si Alfio!"-aggiunse Ludovico-"Stappa il camino e ravviva il miglior formaggio del circondario per Dio!"
Nuovamente tutti a ridere, con Vincenzo che si aggiunse alla congrega non notanto il sottile riferimento alla somiglianza nel sapore del suo vino, del suo formaggio e del suo camino, infine.
"Il solito tavolo Avvocato? Dottore? Lo si pulisce e si fa tornar nuovo! Parola di Vincenzo ho per voi un vino che farebbe diventare il Papa un Don Giovanni!"
"Se questi sono i propositi del suo viticoltore"- rispose Ezio col suo miglior sorriso sghembo -"ci stupiamo che lo venda proprio a voi! Non siete credente come un Don Giovanni nè dissoluto come un Papa!"
Dopo questi ed altri preliminari i due amici siederono in un angolo che dominava il resto del locale, vedevano la porta d'ingresso alla fine del corridoio che costeggiava il bancone e la pioggia, che aveva cominciato ad inaffiare dispettosamente la città, batteva sottile sulla finestra alla loro sinistra; Vincenzo si fece loro incontro con un grosso fiasco ed un tagliere di salumi, formaggi e miele, mentre il garzone scaldava il pane nel camino.
"Brindo per me e per un'altra, sperando che l'altra, in questo momento, brindando per sè e per un altro, quell'altro sia io!"-esclamò Ludovico dopo aver quasi colmato i due calici dalla rozza fattura che gli erano stati posti innanzi.
"Questa fantomatica 'altra' dovresti farmela conoscere un giorno o l'altro, potrei anche offendermi!"-disse Ezio sorridendo maligno.
"Ed io che ero convinto la conoscesti nella culla!"-rispose Ludovico.
"Ci siam ridotti alle battute sullle madri? Qualcosa la innervosisce caro Dottore?"
"Lsciamo perdere! Non capiresti il problema!"
"Il tuo unico problema siede dove i marinai hanno nostalgia di casa! Ti condanni senza causa a questa riflessiva solitudine, nessuna ti par sufficientemente perfetta da sopportar le tue peripezie di intelletuali quando ogni donna del regno giacerebbe con te!"- Ezio sentì di sottolineare quest'ultima osservazione con un sonoro batter sul tavolo, già di suo malconcio.
"Amico mio le donne son solo una distrazione di questi tempi, l'anno scorso fui felice con chi mi rimase nel cuore, la ricerca spasmodica di un innamoramento mi parrebbe un insulto alla di lei memoria. Ricorda sempre che la sofferenza è il mestiere che consente la felicità come paga!"
"E mi par che fatichi a sufficienza per Dio! Non puoi sperar di trattare ogni donzella egualmente Ludovico! Ci sarà pure quella che ti innamora ma per ognuna di queste vi son cento consolatrici da un unico respiro."- Ezio accese la pipa quasi a sottolineare la ragionevolezza di ciò che aveva esposto con un deciso atto del corpo.
"Invidio la tua superficialità in questi frangenti."- Ludovico accese una sigaretta versando altro vino.
 Siamo onesti, non l'accese perchè ne aveva effettivamente voglia, era caduto in quella trappola che ogni fumatore che si rispetti conosce. Quella sorta di silenzioso obbligo, di catena sottile, che lega ogni sigaretta, ogni sigaro ed ogni pipa non solo al fumatore che l'accende, ma anche a chi, pur sazio del suo precedente fumare, non sa resistere al richiamo subitaneo del vizio che l'offerta ispira. E fuma, fuma perchè vuole essere ancora più soddisfatto di quanto non credeva possibile. Fuma e poi se ne pente, chiama quella sigaretta 'inutile'. Come se non fosse l'inutilità e l'insoddisfazione che recano a rendere le sigarette così gustose.
"Ed egualmente io invidio la tua passione per l'illuderti!"- Ezio tossì forte.
"Illuso ma salvo, forse."- Sorrise.
"Realista e dannato."
Scoppiarono entrambi a ridere, come ad esorcizzare il demone di una conversazione che si faceva troppo seriosa.

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