venerdì 25 marzo 2011

La solitudine dell'immediatezza.

Solitudine è una parola sola. Eppure suggerisce non spiegando; non rende partecipi del proprio significato unicamente udendola, tuttavia... Stringe... Preme ed opprime il petto più di quanto non attanagli il cranio. E' esauriente il suo significato per tutte le assoluzioni eccezion fatta per l'uomo.
Cos'è un uomo solo se l'uomo è un animale sociale? Cessa forse di essere un uomo? Di piangere e sorridere come un uomo? O sopravvive, pagando con la propria esistenza il fio di un peccato innominabile di cui egli stesso è dimentico? A cosa pensa? In cosa crede? Spera?
E' la speranza il pane unicamente dei vivi? O nutre anche chi moribondo anela senza meta?
Non erra, anela. Errare suppone una certa coscienza del non avere meta... Anelare vuol dire patire le pene di Ulisse per realizzare un giorno di non aver casa. Di certo è un assai lungo momento. Molto superiore patimento della tristezza è la solitudine, in quanto più facilmente corrotta dall'illusione. Il sentirsi tristi, il soffrire, è e rappresenta il più alto dei momenti dell'uomo se si usa a parametro la purezza dell'esperienza.
La genuinità di un lungo e solingo attimo di sofferenza non ha eguali nell'intero spettro emotivo dell'uomo. "Almeno lei cerca di toccare il fondo" ricorda Tyler ad una parte di sè in un noto libro/film. Soffrire è l'abbandonarsi alla forza di gravità dell'anima quando il vento della speranza termina il suo spirare. Essere attanagliati dalla solitudine è lottare contro il mare in burrasca senza avere il coraggio di spiegare le vele per paura possano strapparsi. E' il vivere di illusioni disilluse. E' finzione. Perchè chi sul capo chino reca seco questo fardello sorride più dell'uomo innamorato, necessitando il mascherare se stesso.
E' il prezzo delle comunicazioni istantanee, della frasi da cinque parole al massimo, del condividere parti e sezioni indiscutibilmente intime di sè con un mondo di sconosciuti che si conoscono tutti tra loro. Ecco venir fuori la radice prima della foglia ultima. Ecco la causa dietro l'effetto. La mercificazione dell'io. Vendendo ed acquistando conoscenza gli uni agli altri per ritrovare la tasca sempre vuota di sè. L'uomo è solo quando dimentico di chi è stato non sa dire interrogato chi egli sia. E se mai è esistita qualcosa di virtuale, qualcosa che non trova riscontro materiale e tattile nell'esperienza è l'anima. Così nella virtualità perdiamo il contatto col reale e l'unica moneta di scambio che rimane è l'intima profondità del nostro spirito. Innamorandoci di persone di cui non abbiamo mai udito la voce, parlando per ore con chi tocca nel profondo senza poter essere toccato nel superficiale. Esploriamo conoscenze che hanno richiesto secoli per formarsi in ore, vediamo film girati in settimane in minuti, leggiamo opere scritte in giorni in secondi. E l'universo non ce lo perdona. Scuote la testa davanti banalizzare il significante per carpire il significato. Che prezzo ha il tempo risparmiato con una scorciatoia?

La tristezza non teme se stessa, ne è stanca. Stanca di non avere più nulla in cui credere, stanca di aver perso la sua capacità di illudersi, stanca di vivere in dimensioni atemporali in cui i cicli della vita non hanno posto e non sono parametro di alcuna durata. Stanca di attimi morenti che generano attimi sempre peggiori dei propri predecessori e nel contempo rassicuranti se la vista vaga verso gli infiniti che sono di la da venire. La solitudine no. La solitudine teme la propria bruttezza, la propria deformità. E' il Dorian Gray che non vuole guardare nell'unico vero specchio gli sia rimasto al mondo. Ecco perchè fugge da sè ricercando la compagnia altrui. Perchè teme quel momento in cui dovesse riflettersi nel proprio specchio interiore. Così siamo spauriti ed ugualmente smarriti all'idea di non essere più uno dei nodi di quella rete che avvolge sempre più stretto il globo, di essere null'altro che una corda a se stessa abbandonata, di vedere venir meno un interlocutore di disinteresse nel quale assopire le nostre insicurezze nutrendoci delle sue. Così viviamo una vita aeriforme, di particelle non legate tra loro ma parti di un tutto caotico, che non hanno interazioni interne al di fuori di sè (se nobili) o al massimo di scambievoli duetti o terzetti. E ricordiamo la presenza dell'altro da sè solo quando ci andiamo a cozzare, quando le nostre interazioni si fanno così forti da attrarci o respingerci secondo il caso. Caso sempre più raro, padre di legami sempre più indotti e meno spontanei.
La solitudine non è non avere nessuno intorno, è non avere se stessi affianco.
Ed è il caso di iniziare a capire che navigare senza bussola ha un prezzo, siamo pronti a perdere noi stessi in questo mondo per essere chiunque in qualunque altro dei possibili?



mercoledì 23 marzo 2011

Wondering about Waste.

Sarà stato un paio di anni fa. Era autunno e di questo sono certo perchè era quella stagione dell'anno in cui di solito sono affascinato da tutto ed interessato a niente. Presi la macchina mosso da un profondissimo desiderio di lasciare molta strada tra me e ciò che era appena successo; cosa che sarà forse argomento di un prossimo post, ma non stasera. Sono stato sempre convinto che le domande si rivolgono al Nord e che le risposte le si trovano andando a Sud. Così è a Sud che mi diressi.

Paesini dimenticati da Dio e dagli uomini andavano rincorrendosi in un mare di stradine contornate da niente. Non so per quanto continuò questo appello di nomi mai sentiti, ricordo tuttavia che mi ripresi dal mio trans automobilistico quando lessi un nome che tra mille mi era familiare "Salve". Non ricordai al momento il perchè ricordavo quel nome, eppure mi ci addentrai spinto da qualcosa di decisamente più intenso dell'arancione di una spia dispettosa, che come sulla porta di un prossimo inferno recitava "Richiesto immediato rifornimento". In breve la richiesta fu ratificata e dopo aver rimesso al suo posto un erogatore siffrediano pensai che era il caso di far rotta verso casa. Ero quasi uscito dal paese quando vidi un cartello diceva, lasciando ben poche speranze "Cimitero". Come si era spenta la spia alla sinistra del mio tachimetro, così un'altra ben più luminosa mi si era accesa dietro gli occhi. Ero nel paese dove erano sepolti i miei nonni paterni. Non ci venivo da anni... Una visita mi pareva ovvia più che doverosa. Ciò che mi ha sempre colpito di quel luogo era il rumore. Sin da bambino mi rendevo conto della contraddizione messa in luce dal contrasto tra il silenzio degli uomini e delle donne in abiti scuri e del fracasso delle gazze, dei passeri e delle allodole che abitavano, per nulla pacatamente, il boschetto contiguo. La cappella dove sono seppelliti è poco distante dall'ingresso, così mi ci diressi e fu lì che ebbi come una folgorazione. Una donna dal volto tuttora per me ignoto portava dentro un edificio simile ad una minuta cattedrale un mazzo di fiori che avrebbe fatto impallidire Versailles. Rose ne erano il cuore, multiformi per età e sbocciatura, ed intanto lunghe calle le tenevano in grembo... Asfodeli di un giallo vivo si intrecciavano in una corona esterna e tra i loro rametti altri vivaci colori spuntavano timidamente nella figura di minutissimi fiorellini di campagna. Non era tanto la complessità della composizione a sorprendermi, quanto più la dimensione della stessa. E fu lì che pensai: "Quante vite puo' valere una morte?".
Ora, so che in senso stretto non si può parlare di morte di una pianta solo recidendo un fiore, sarebbe come pensare di uccidere un uomo tagliandogli il cazzo... Il problema è che abbiamo destinato ad una fine anticipata qualcosa che poteva regalare al mondo bellezza, profumo, essenza ed in particolare colore. Perchè lo facciamo? Cerchiamo di redimere la finitezza della carne alimentandone il tempo ancora da trascorrere con dei sacrifici? Qui non si tratta di sacrificio per la vita... Comprendo che per sopravvivere dobbiamo uccidere, sempre. Qui non si tratta di essere onnivori, frugivori, pescetariani, carnivori, vegani o rompicoglioni in genere, qui si tratta di sottrarre al mondo una delle manifestazioni più pure ed immediate della sua magnificenza per sacrificarla "alla memoria" di qualcuno. E che cazzo vuol dire? Sarebbe come dire "Ok, sono morto e non posso più scopare, quindi quando vedete delle cazzo di piante pronte a farsi fottere da delle api recidetegli i genitali, cortesemente". Sarà che proprio non ci arrivo... Ripeto, quello che mi lascia stranito e pieno di interrogativi è che qui non stiamo sacrificando la vita o una parte di un organismo vivente per la prosecuzione della sua sopravvivenza, ci può anche stare il sacrificio finalizzato all'esaltazione della vita e della bellezza, omaggiando qualcuno IN VITA con questo sacrificio stesso (Vedasi: "San Valentino, o come imparai a non preoccuparmi e ad amare le cartoline da auguri"), qui si parla di sacrificare una, dieci, mille vite alla morte. E se anche ci fosse un modo di ingraziarsela la cosa sarebbe giustificata, oppure... Oppure... Oppure, forse, la bellezza a questo mondo è troppo poca per concentrarne così tanta in vasti campi sterminati, in paradisi floreali di pura emozione... Forse è poca, e ce ne è bisogno in particolare in quei luoghi... E con essa andiamo ricordanto il retaggio di ciò che senza un po' di bellezza sarebbe solo una serie di lettere e due date ormai, non per noi forse... Ma per gli altri di certo.
Ah, se solo fossimo democratici.

domenica 20 marzo 2011

Hi.

Nasce pretestuosamente, per necessità di tipo accademico. Ciononostante va a riempire un vuoto che percepivo da tempo, ma non abbastanza da convertire un bisogno della mente in un atto del corpo. Diciamo che mi sento come se avessi speso moltissimo tempo ad impilare puntigliosamente un oceano di tesserine da domino in una figura che può rendersi nota solo lasciando cadere la prima, senza aver mai pensato, tuttavia, di rendere l'inutile, spendibile. Il mio desiderio è dunque quello di costruire una confortevole residenza digitale per tutte quelle saghe mentali che vanno ad affollarmi il cranio (neuro solitamente, ma anche lo splancno vi dirò... vabbè chiusa la parentesi "premiata nerderia italiana"), ecco la parentesi di prima ne era un esempio... Non proprio fulgido ma comunque un esempio. Non aspettatevi dunque un tema, un senso, un significato e soprattutto uno scopo. Passo quasi tutto il tempo che ho a disposizione a prefissare obiettivi e mete da raggiungere, qui no. E' un modo per smettere di riempire margini di pagine di libri, retro di quaderni e poveri quanto indifesi pezzi di carta. Nella peggiore delle ipotesi riguardando questo quaderno 2.0 tra un anno mi farò una risata; nella migliore, due.
Ps: Il Trailer che lascio di seguito rende perfettamente il senso di disordine che mi piacerebbe permeasse questa piattaforma, a chiunque non abbia visto il film... Bhè vedetelo cazzo.