venerdì 23 dicembre 2011

Terzo Paragrafo

Una rapida occhiata fu più che sufficiente per capire che entrambi si stavano per scoprire eccessivamente, stavano per offrire all'altro punti d'attracco troppo comodi per il porto dell'altrui spirito. Così la conversazione scemò d'un tratto e si ricollocò immediatamente su temi più consoni. Si parlò a lungo di politica, di economia e di quei tipici argomenti che lasciano ai referenti ampli spazi di manovra retorica. Perché tanto più è grande la materia trattata, tanto è maggiore la libertà di essere imprecisi.
Così facendo proseguirono per svariate ore ed innumerevoli bottiglie ad esporre reciproci mondi ideali, a criticare aspramente le mancanze delle amministrazioni attuali, a sottolineare con sdegno quelle stesse incongruenze che gli avevano consentito di parlare delle inefficienza del mondo da una posizione privilegiata. Il contrappunto verbale in cui si erano impelagati continuava senza posa finchè, risolutore, non intervenne il proprietario dell'alcolica ambasciata in cui si erano rifugiati.
"Si chiude!", intimò agli astanti, come a voler suggerire una riaperture il giorno seguente. Il tempo pareva essersi quietato, gli astri riprendevano il loro posto osservando dall'alto una città che sembrava essere terra di nessuno nel connubio di freddo e orario. Il vento pareva aver rinunciato al suo deciso spirare essendo venuto meno un pubblico di infreddoliti passanti. Tutto taceva in attesa.
Ludovico riprese la strada di casa accompagnato da un tenue bagliore lunare; un universale lanternaio che lo guidava verso casa non pensando alla meta quanto al servizio offerto per pura bontà ai viandanti solitari. I colori della sera parevano spariti; si trovava egli in una di quelle tipiche ore in cui il "quando" lascia spazio al "come". Ed attraversando un triste Belvedere decise di dedicare a quella algida e generosissima Luna un canto:

"Tu, solinga, vellutata senescenza degli attimi.
Risoluto Caronte di peccatori non morti,
Seguace affine delle umane canzoni.
Sappi piegare le anime al mio passo,
Non lasciare accarezzino, stringendo, il mio andare.
Liberami dal mio male, negli alri."

Questo seppe insieme chiedere ed intimare ad una pallida Luna il nostro amico. Questo seppe suggerire durante un esame alla sue compagna, com voce alta a sufficienza da farsi sentire. Da chi?
La vita, il suo destino, il suo arbitrio.

lunedì 12 dicembre 2011

Secondo Paragrafo.

Era una di quelle ore in cui non sei mai certo se si debba dire "buongiorno" o "buonasera". Sordi rintocchi continuavano a suonare Firenze come un'unica, bellissima, cassa di risonanza. Fermi, pieni, solidi... Avresti giurato che fossero e sarebbero sempre stati lì, a ricordarti qualcosa che avevi dimenticato, a svegliarti da un fantasticare troppo protratto, a scandire come un gigantesco metronomo la giostra della tua esistenza. Ovviamente era Ludovico ad essere in anticipo. Come poteva essere altrimenti? Gli sembrava di aver vissuto la  sua intera esistenza in anticipo, a Ludovico. Come fosse dal principio stato rincorso dal segugio di un padrone inclemente chiamato Tempo. Sempre a  mordergli i calcagni, a ricordargli le sue "potenzialità inespresse" espressione che si era sentito ripetere così tante volte che aveva pensato di tramutarla in epitaffio:

"Qui giace Ludovico dei Rimembri, mai rinunciò ad una risata per lenire le sue pene, amante deciso eppur delicato dei piaceri della vita, principe delle potenzialità inespresse"

Questo avrebbe voluto ci fosse scritto, questo il suo monito ed insieme il suo regalo ai passanti tristi di una pigra domenica, in un altrettanto pigro cimitero di campagna. La pace non era qualcosa da raggiungersi in questa vita, pensava. Siamo eccessivamente schiavizzati dai nostri simili, dai loro successi, dalle loro miserie per poter veramente placare la tempesta che dentro ci affoga, ci lascia spazio per una boccata ristoratrice di ossigeno per poi rispingerci nell'abbisso, ancora ed ancora, perversa.
Perversa era la vita ed egualmente perversi i suoi figli, maschi cresciuti nell'adorazione della donna, solitari frammenti di un disegno che non siamo tenuti a conoscere. L'oppio ricominciava a farsi sentire. Si sentì improvvisamente come schiacciato. Ogni respiro era una pugnalata. Resistere? A che scopo?. Si lasciò sprofondare in se stesso... Seduto ad attendere la sua compagnia sui gradini del Duomo.
E cominciò a scivolare... calmo nella sua accettazione dell'incontrollabile preponderanza del suo inconscio. I passi dei suoi simili acquistavano immediatamente ritmo, il ritmo figurava teatri mai visitati nellla sua testa, danzatrici di orienti sconosciuti lo deliziavano con carezze degne di Semiramide dietro le palpebre socchiuse. Un'altra sigaretta. Ogni boccata pareva una mano che pugnalandolo allo stomaco cercasse di sollevargli il torace dall'interno. Ne fumava, ne gioiva, ne soffriva. Poi d'un tratto, colori. Solo colori nel brusio della folla, tamburi dalle campane del Duomo. Visioni fantastiche e stupefacenti, eppure, così umane. Vedeva realtà possibili, stereotipate ma non vere; probabili forse, ma non adesso. Era questo il punto.
Si riprese di colplo. Se c'è una cosa peggiore dell'essere assaliti senza avviso da un qualcosa che ha giaciuto languido dentro di te per trasportarti lontano, è proprio l'essere riportati senza avviso alla realtà. Istantaneamente i passi tornarono ad essere solo passi; le campane, solo campane.
Una mano gli strinse improvvisamente la spalla.
"Finalmente!"-disse scattando in piedi.
"Amico mio, venti minuti di ritardo sono già una conquista! Dici sempre che con me non riesci a pensare come vorresti? Benissimo, ti ho lasciato il tempo per ragionare come non potrai per le prossime ore."-aggiunse Ezio.
"Bhè con lei ragionerei anche, avvocato, se non riservasse tutta la sua sobrietà per le sue arringhe!".

Scoppiarono entrambi a ridere, come di consueto, e per medesima consuetudine si diressero ad un'osteria dopo essersi sprofondati in eccessivi e goffi inchini insistendo ognuno con l'altro affinchè facesse strada. Ezio regalava a Ludovico quella leggerezza nel vivere che pareva così ardua da raggiungere per chiunque non l'avesse sempre avuta. Il suo riuscire a portare a compimento tutte le sue intenzioni senza affanno, il suo amore semplice ed infantile per la vita, per le donne e per il vino lo ristoravano come il respiro di un'amante quando, colti da un incubo, d'improvviso, ci si desta.
Camminarono un poco, il rimbombo delle campane aveva lasciato il posto al più profondo e meno rassicurante concerto delle nuvole che li sovrastavano.  La locanda era piena di fumo, come al solito, non eccessivamente pulita, come al solito, poco frequentata, come al solito, e rumorosa come non mai. Il proprietario, un pingue e solitamente gioviale nanerottolo chiamato Vincenzo era intento a scacciare armato di bottiglia un paio di francesci dall'aria decisamente poco sobria. Quando i due gentiluomini marsigliesi furono accompagnati alla porta si voltò ai due compari, che sghignazzavano in un angolo.
"Ma buonasera! Alfio! I nostri migliori clienti tornano a farci visita! Stappa il vino migliore! Taglia il formaggio di Siena e ravviva il camino!"
"Si Alfio!"-aggiunse Ludovico-"Stappa il camino e ravviva il miglior formaggio del circondario per Dio!"
Nuovamente tutti a ridere, con Vincenzo che si aggiunse alla congrega non notanto il sottile riferimento alla somiglianza nel sapore del suo vino, del suo formaggio e del suo camino, infine.
"Il solito tavolo Avvocato? Dottore? Lo si pulisce e si fa tornar nuovo! Parola di Vincenzo ho per voi un vino che farebbe diventare il Papa un Don Giovanni!"
"Se questi sono i propositi del suo viticoltore"- rispose Ezio col suo miglior sorriso sghembo -"ci stupiamo che lo venda proprio a voi! Non siete credente come un Don Giovanni nè dissoluto come un Papa!"
Dopo questi ed altri preliminari i due amici siederono in un angolo che dominava il resto del locale, vedevano la porta d'ingresso alla fine del corridoio che costeggiava il bancone e la pioggia, che aveva cominciato ad inaffiare dispettosamente la città, batteva sottile sulla finestra alla loro sinistra; Vincenzo si fece loro incontro con un grosso fiasco ed un tagliere di salumi, formaggi e miele, mentre il garzone scaldava il pane nel camino.
"Brindo per me e per un'altra, sperando che l'altra, in questo momento, brindando per sè e per un altro, quell'altro sia io!"-esclamò Ludovico dopo aver quasi colmato i due calici dalla rozza fattura che gli erano stati posti innanzi.
"Questa fantomatica 'altra' dovresti farmela conoscere un giorno o l'altro, potrei anche offendermi!"-disse Ezio sorridendo maligno.
"Ed io che ero convinto la conoscesti nella culla!"-rispose Ludovico.
"Ci siam ridotti alle battute sullle madri? Qualcosa la innervosisce caro Dottore?"
"Lsciamo perdere! Non capiresti il problema!"
"Il tuo unico problema siede dove i marinai hanno nostalgia di casa! Ti condanni senza causa a questa riflessiva solitudine, nessuna ti par sufficientemente perfetta da sopportar le tue peripezie di intelletuali quando ogni donna del regno giacerebbe con te!"- Ezio sentì di sottolineare quest'ultima osservazione con un sonoro batter sul tavolo, già di suo malconcio.
"Amico mio le donne son solo una distrazione di questi tempi, l'anno scorso fui felice con chi mi rimase nel cuore, la ricerca spasmodica di un innamoramento mi parrebbe un insulto alla di lei memoria. Ricorda sempre che la sofferenza è il mestiere che consente la felicità come paga!"
"E mi par che fatichi a sufficienza per Dio! Non puoi sperar di trattare ogni donzella egualmente Ludovico! Ci sarà pure quella che ti innamora ma per ognuna di queste vi son cento consolatrici da un unico respiro."- Ezio accese la pipa quasi a sottolineare la ragionevolezza di ciò che aveva esposto con un deciso atto del corpo.
"Invidio la tua superficialità in questi frangenti."- Ludovico accese una sigaretta versando altro vino.
 Siamo onesti, non l'accese perchè ne aveva effettivamente voglia, era caduto in quella trappola che ogni fumatore che si rispetti conosce. Quella sorta di silenzioso obbligo, di catena sottile, che lega ogni sigaretta, ogni sigaro ed ogni pipa non solo al fumatore che l'accende, ma anche a chi, pur sazio del suo precedente fumare, non sa resistere al richiamo subitaneo del vizio che l'offerta ispira. E fuma, fuma perchè vuole essere ancora più soddisfatto di quanto non credeva possibile. Fuma e poi se ne pente, chiama quella sigaretta 'inutile'. Come se non fosse l'inutilità e l'insoddisfazione che recano a rendere le sigarette così gustose.
"Ed egualmente io invidio la tua passione per l'illuderti!"- Ezio tossì forte.
"Illuso ma salvo, forse."- Sorrise.
"Realista e dannato."
Scoppiarono entrambi a ridere, come ad esorcizzare il demone di una conversazione che si faceva troppo seriosa.

domenica 4 dicembre 2011

Primo Paragrafo.

Era una notte in cui di stelle se ne vedevano solo di arancioni.
La loro soffusa solitudine guidava maestra il passo dei viandanti lungo i battuti e lastricati sentieri del centro. Gli uomini e le donne che inconsciamente si andavano inseguento in quel gradevole carosello invernale parevano un unico, dissonante e aggraziato mastodonte.
Il loro mutar continuamente direzione, la loro capacità di variare istantaneamente passo onde non cozzare gli uni con gli altri faceva pensare ad un torrente. Scogliere di vari piani si ergevano nel mezzo di tali flussi. Alti, severi, quasi eterni nel loro effimero ed inabitato splendore. Un vento di Zefiro che cortese accarezzava le piane cime delle Ardenne; questa vivida e dolcissima immagine balenava dietro gli occhi di un solitario e silente spettatore. Quella moltitudine affaccendata passava, continuava senza posa a passare da un luogo all'altro senza effettivamente trasformarlo; quivi si fermava, lì nel fondo della via deviava per non infrangersi nelle proprie scelte urbanistiche, eppure... Pareva pettinare quell'elegante quartiere fiorentino col suo incedere, pareva trasformarlo in ridente teatro col suo incessante chiacchiericcio, donava vita a quegli alti muri, a quelle torte arcate, a quelle giuste colonne. Infondeva un anima umana a quei frutti dello sposalizio tra gli esseri umani ed i monti; rendeva colmo di scopo il nostro modestissimo creato.
Questi ed altri pensieri andavano seguitandosi nella mente del nostro amico.
Andava egli passeggiando lungo quella azzurrognola lingua che tracciava, sulla perenne tela della valle, il limite naturale della città tanto amata. Eppure essa da tempo lo aveva valicato, quel limite, e aveva saputo germogliare sulle limacciose sponde d' oltrarno.  "Anche il cuore ha in sè un naturale confine, ciò non invalida la sua funzione, semmai la affina" -questo gli suggerì la visione di quel fiume. I profumi ed i meno gradevoli odori del fervore vitale lo accarezzavano e schiaffeggiavano senza posa, una bufera che non resta. La frizzante aria di Novembre gli pizzicava il naso mentre accendeva, dolcemente, una sigaretta. Fumava il nostro amico, dio mi sia testimone che fumava. Fumava per una sorta di intricato ed autoimposto contrappasso; continuava a ripetere che solo un onesto e sincero amante della pura e ristoratrice aria marzolina avrebbe tratto quanto lui dal transitorio piacere di una sigaretta. "I Baci più amari che possiate ricevere" - Così le chiamava, le sigarette. E passo dopo passo lasciava una distintiva scia dal sentore vagamente rassegnato, rassegnato come quei gradevoli e fragili giochi che si trasformano, col tempo in saldi vizi. Quasi a volerci ricordare la gaiezza del tempo in cui li approcciammo; tempo quasi sempre tenerissimo e, come tutte le cose giovani, senza domani. Ecco: il venir meno, almeno nel nostro sentire, del domani ci lega ai vizi di gioventù. Ed egualmente al ricordo degli amori che in quei medesimi periodi conoscemmo; considerando che gli amori, nel loro complesso, sono solamente i più raffinati tra i vizi, le più gentili tra le flagellazioni.
Camminava e pensava, ricalcava un mondo di riflessioni sulla falsa riga di quello reale; la matita? Le sue elucibrazioni. Poneva un sottile foglio di carta trasparente tra sè ed il mondo iniziando un fine arrovellio che lo conduceva ad una illustrazione, più complessa ma meno fedele della realtà. Questi erano i suoi pomeriggi solitari, queste le sue indolenti passeggiate. In qualche maniera l'idea del viaggio, del percorso conoscitivo, della ricerca ideale lo facevano sentire vivo come non mai. Decisamente più vivo che in compagnia, trovava che pensare insieme ad altri fosse sfiancante, se al pensiero doveva poi far seguito la parola... Dio! Che fatica immensa... E se dalla parola doveva poi giungere la comprensione  in qualcuno che non fosse lui... Tempo sprecato.
Si sentiva un incompreso, il nostro amico. Percepiva fin dalla nascita un muro, una invalicabile barriera tra sè e gli altri. Il suo superfluo era il loro fondamentale, ciò che per lui era significativo per loro era puramente accessorio, nella migliore delle ipotesi un gradevole passatempo. "Come fosse il pensare un passatempo!" - andava ripetendo ai più cari tra i suoi amici.

Con uno di questi aveva il serale appuntamento cui si recava, un gioviale quanto giovane avvocato che gli era sempre di gran compagnia, e che mai si ricordava avesse rifiutato un'inebriante calice di dolce nettare. L'ora dell'appuntamento si andava accivinando, le campane del Duomo ricordavano ad uno dei due che era in ritardo, all'altro, come al solito, che era in anticipo.