mercoledì 30 novembre 2011

Rieccoci.

Qualche mese è passato dall'ultima volta che l'ho approcciata in maniera sensuale signor blog. Vediamo di rimediare. La facciamo relativamente semplice, non ho un cazzo da dire. D'altronde non è a questo che servono questi spazi? ad ispirare? ...dunque... Sotto coi Doors e vediamo che ne viene fuori. When the music's Over... Lasciamoci trasportare. Vediamo.... Primo tema che ci passa per la testa... Ma si! Improvvisiamo un racconto breve... Un racconto nel post... Tipo... Ci serve una parola che ispiri la narrazione.
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Trovato! Letizia!

"La levigatura procedeva da giorni oramai. Un suono continuo, misterioso... Problematico in un certo senso. Faceva pensare alle spire si una serpe, shhh, shhh, shhh. Un continuo. Ore, giorni, settimane. Chi può ricordare quando arrivo quel pezzo di legno? Chi aveva idea di cosa sarebbe diventato? Un uomo.

Un uomo solo; di quella solitudine impegnata, riflessiva... In un certo qual senso ricercata e perfino aristocratica. Continuava alacremente a strofinare quel frutto risoluto della Terra come se cercasse di donargli un conforto sconosciuto alle altre piante. Come un bimbo colto da incubi sconosciuti ristorato dal notturno velluto di un seno materno. Così quell'uomo continuava a percorrere le misteriose vie e venature che infinite alternanze vitali avevano inflitto alla porzione più pregiata di un essere gentile. Ancora, ancora, ancora. Avanti ed indietro... Poi, d'un tratto... Roteando, calmo. Così proseguiva quel guizzo cortese, quella tenace e scivolosa carezza. Ed ivi un occhio come il suo le imperfezioni non le notificava, le leggeva. L'intera memoria di quell'essere vivente era scritta sul suo corpo; la sua storia, le sue sensazioni non le aveva affidate ad un insignificante oggetto esterno. Era egli stesso diventato il proprio unico e meraviglioso diario vitale. Al nostro amico piaceva pensare che ogni albero scrivesse su se stesso ed in se stesso la propria autobiografia. Quivi era il ricordo d'un inverno troppo rigido, lì una curvatura nell'asse del fusto faceva pensare a poderosi venti di maestrale, fedeli compagni dei naviganti ed acerrimi nemici dei viticoltori.
E sorrideva, sorrideva di gioia quell'uomo stanco ma pago. Sorrideva del più strano dei lavori, della più superflua delle arti. Era suo compito quello di ergere ad i morti terreni degni accomodamenti. Così l'uomo, principe indiscusso, figlio prediletto d'ogni stagione, monarca incontrastato di madre Terra veniva da essa stessa riaccolto dopo esservi scaturito. Ma una morte principesca richiede sacrifici.  Il venir meno di cotanta grazia deve recar seco egualmente vittime in abbondanza. Così gli alberi andavano a racchiudere re, principi, duchi, marchesi della vita! Imperatori fieri nella loro allegrezza, definitivamente sconfitti nella loro armonia. Servi dei propri destini, governanti di destini altriui,sempre. E ad ogni morte venivano numerosi sacrifici,  il mondo floreale era il primo dei vassalli degli uomini per ogni fatale dipartita. In seguito erano le robuste colonne delle foreste a dover pagare il proprio fio. E dopo aver adornato tortuosi viali boschivi cadevano come le spighe alle idi di marzo. Così giungeva lui, il nostro mastro artigiano. "Che sia lunga non meno di due metri!", gli fu intimato "Che ci possa star comodo un duca infine!". Con queste parole era stato liquidato. Era il migliore nella sua sfortunata professione. Non dimentichiamolo mai. Il migiliore dei mastri per il più strano degli uomini.

Ma di quel giovane, anzitempo strappato a destini fausti non parleremo quest'oggi. Verrà il giorno in cui la sua storia verrà narrata, per ora ci si accontenti di conoscere i servigi che i suoi parenti erano stati obbligati a richiedere.

Buonanotte.

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